Era un appuntamento storico quello con la prima gara under 23 femminile in un mondiale, però purtroppo i motivi per cui questa giornata passerà agli annali del ciclismo non sono tecnici e non sono neanche positivi. Prima di parlare del brutto, però, concentriamoci sul bello, che ha l’aspetto del sorriso della 18enne britannica Evie Richards, che dopo una corsa condotta tutta al comando va a vestire la maglia iridata. Per la giovane biker, che ricordiamo per esempio seconda nella categoria junior del Trofeo Delcar di Montichiari la scorsa estate, non si può neppure parlare di sorpresa, visto che si tratta in sostanza del primo ciclocross di livello internazionale cui partecipa in carriera. Quindi era sostanzialmente impossibile sapere cosa aspettarsi. Di certo vederla vincere era un’eventualità che ben in pochi avevano messo nel conto.
In generale è stata una gara che ha visto completamente ribaltati i rapporti di forza tra le under 23 visti fin qui in stagione. La pioggia battente, come avvenuto anche tra le élite, ha ovviamente avuto il suo ruolo, ma il motivo principale va probabilmente ricercato nell’emozione che molte di queste giovani ragazze hanno dovuto affrontare nell’avvicinarsi alla manifestazione e poi alla differenza tattica notevole nell’affrontare una corsa senza la presenza delle élite, assieme alla quali praticamente in ogni circostanza le under si trovano a competere praticamente in tutte le altre prove della stagione. E per ragazze così giovani adattarsi non è ovviamente facile.
Richards ha attaccato praticamente subito, a metà del primo giro. Ha guadagnato da subito un vantaggio sensibile (18 secondi al primo passaggio sul traguardo), che poi ha incrementato fino ai 35 dell’arrivo, non commettendo praticamente nessun errore. La medaglia d’argento è andata alla ceca Noskova, che ha attaccato nella parte finale del secondo giro assieme alla neerlandese Kaptheijns, staccando poi nel corso della terza tornata la compagna d’azione, che quindi si è dovuta accontentare del bronzo. Noskova, che si divide con profitto anche tra Mtb e strada (molto promettente a crono), in stagione si era sempre piazzata nei dintorni della quinta posizione tra le under 23 nelle gare di Coppa, anche se mai tra le prime 3 e aveva chiuso l’Europeo in decima piazza. Insomma, anche la sua prova è una mezza sorpresa, mentre Maud Kaptheijns, che a Huibergen era stata d’argento, è l’unica tra le più accreditate della vigilia a cogliere quantomeno il podio, dopo un lungo duello con un’altra atleta non certo attesa a lottare per le medaglie, ossia Sina Frei. Quinta posizione per l’austriaca Heigl, davanti alla statunitense Noble.
Settima posizione per la prima delle italiane, Alice Arzuffi, che su un terreno fangoso che non ama particolarmente non è mai veramente riuscita a entrare in gara. Un vero peccato, perché in condizioni normali, la brianzola ha già ampiamente dimostrato in carriera di poter battere con continuità e nettamente le atlete che l’hanno preceduta. 13^ invece si è piazzata Chiara Teocchi, che in Coppa del Mondo su questo stesso tracciato (ma su asciutto) era stata prima assoluta delle under. Prova a due facce per la bergamasca, che nel primo giro era apparsa scatenata. Partita benissimo, aveva saputo fare la differenza e staccare tutte. Poi, nel tratto a piedi era stata raggiunta e lasciata indietro da Richards per venire quindi riassorbita sul traguardo da Noskova, Kaptheijns, Frei e Heigl. Quindi ha perso progressivamente terreno, prima di un vero e proprio crollo nell’ultima tornata. Molto brava invece Sara Casasola, che ricordiamo è al primo anno della categoria junior, 18^, mentre Francesca Baroni ha chiuso 34^. A completare la top ten sono invece la francese Labous, anche lei sottotono rispetto alla stagione, basta dire che in Coppa aveva praticamente sempre battuto Noskova, l’altra britannica Barnes e la tedesca Lambracht, un’altra da cui era lecito attendersi un piazzamento migliore.
Si noterà che nella cronaca non abbiamo mai parlato di una delle principali favorite della vigilia, ossia la campionessa europea Femke Van den Driessche. La fiamminga è stata autrice di una prova assolutamente impalpabile, chiusa arrivando a piedi bici in spalla per un guaio tecnico ben lontana dalle prime 10. Ma non la troverete nell’ordine d’arrivo. Infatti tanto la sua gara è stata anonima, tanto ha fatto e farà rumore la squalifica che la belga poi ha subito, tanto da farle guadagnare un posto nella storia del ciclismo che neppure la vittoria le avrebbe regalato, ma non certo in senso positivo. Una delle bici al box di Van den Driessche (non quella usata in gara, va detto), infatti, non ha superato l’esame degli scanner degli ispettori Uci per la ricerca dei motorini elettrici. La belga, che si è difesa affermando che quella non era la sua bici, ma apparteneva a un amico e i meccanici per errore l’avevano portata al box, ora rischia una squalifica minima di sei mesi e una multa molto salata.
È indubbio che anche la sola notizia del ritrovamento apre uno spartiacque nella storia del ciclismo. Fin qui infatti l’utilizzo dei motorini era stato una sorta di spauracchio, una minaccia che aleggiava sul movimento ciclistico, un’evenienza tecnologicamente possibile che si sperava fosse rimasta nell’alveo delle ipotesi. Invece per la prima volta abbiamo avuto una prova del superamento di quella linea rossa che non avrebbe dovuto essere valicata, anche perché qui siamo a un livello concettualmente differente rispetto al doping farmacologico. Senza fare inutili e anche abbastanza ridicole graduatorie etiche tra quale reato sia il peggiore da commettere, infatti, se l’utilizzo della chimica procura un vantaggio indebito, surrettizio e illegale sugli altri, installare un motore su una bici va a negare l’essenza e la natura stessa del ciclismo. Per quanto riguarda la vicenda Van den Driessche nello specifico, ora la giustizia farà il suo corso. Quello che ci sentiamo di dire è che, comunque siano andati i fatti, non riusciamo a non vedere anche la campionessa europea come una delle vittime della situazione. Si tratta di un problema antico, trasversale a tutti gli sport e al quale per adesso nessuno ha saputo, o forse voluto, provare a trovare un rimedio: quello dei tanti giovani che si trovano a essere sfruttati, strumentalizzati o addirittura fuorviati e traviati da membri del loro entourage (inteso nel senso più lato possibile che si possa dare al termine), che vedono in loro non dei ragazzi con il loro talento, i loro sogni e anche le incertezze e ansie tipiche della loro età, ma semplicemente delle galline dalle uova d’oro da sfruttare subito e il più velocemente possibile per trarne quanto più denaro, fama e successo possibile, a qualunque costo.
Torniamo a parlare di ciclocross, ricordando che in mattinata si era disputata anche la prova juniores. Qui vincitore secondo i pronostici, con Jens Dekker, che dopo aver rocambolescamente vinto la Coppa del Mondo a Hoogerheide, stavolta ha invece dominato la contesa facendo la differenza in salita nel corso del penultimo giro. Il cugino dell’ex stradista Erik ha concluso la prova con 35 secondi di vantaggio sul transalpino Crispin, con l’altro francese Thomas Bonnin terzo. Per l’Italia ottima sesta piazza di Jakob Dorigoni sesto, davanti al primo dei belgi Jaspers (che era tra i favoriti), e questo è già di per sé un risultato notevole. Ventesimo Folcarelli e ventinovesimo Xillo. Una gara conferma l’ottimo livello dei giovani azzurri, sui quali si potrà progettare un futuro importante per il movimento, a patto di continuare a programmare e a seguirne con attenzione la crescita.
Nella foto: la vittoria di Evie Richards (Tim de Waele/TDWSport.com)