Troppo spesso nel mondo del ciclismo si tende a concentrare l’attenzione solamente sui campioni, su chi porta a casa ogni anno un gran numero di vittorie. Invece il gruppo, e il discorso è ancor più vero quando parliamo al femminile, è un grande ambiente nel quale ogni atleta porta la propria storia, la propria personalità. E senza la sua presenza il ciclismo non sarebbe la stessa cosa. Per questo motivo, quindi, ogni inverno, nonostante le speranze e le attese per una stagione che sta per iniziare, c’è sempre una nota di inevitabile malinconia per i ritiri che vengono annunciati, ognuno dei quali lascia un vuoto visibile e sensibile nella grande comunità che anima ad ogni gara i villaggi di partenza. Una mancanza che si farà molto sentire nel 2016 sarà quella di Alice Algisi, la 22enne bergamasca che ha da pochi giorni annunciato, nonostante la giovanissima età, la fine della sua carriera agonistica. Di questo, ma soprattutto della sua carriera e delle emozioni di una lunga parentesi di vita in bici, abbiamo parlato con l’ex portacolori di Be Pink e Alé Cipollini, che ringraziamo per la gentile disponibilità
Allora Alice, a pochi giorni dall’annuncio del tuo ritiro, qual è lo stato d’animo che prevale?
Dopo il mio addio al ciclismo, lo stato d’animo è quello di una persona serena e convinta. Credo di esser arrivata a questa scelta nel momento giusto! Ho 22 anni e son consapevole di esser giovane per smettere di correre in bicicletta, ma ho anche l’età giusta per iniziare a pensare ad altre cose.
È stata una decisione sofferta oppure l’avevi maturata già da tempo?
No, non è stata una decisione sofferta. È quasi ovvio dire che un po’ mi dispiace, perché dopo tanti anni che pratico questo sport è normale; cambierà tutto nella mia vita, avrò ritmi diversi e mi dedicherò a cose completamente differenti da quelle che ho fatto finora, però son davvero contenta così!
Ci racconti quando e perché hai iniziato a correre in bici? È stato un colpo di fulmine o un lento innamoramento?
Ho iniziato 11 anni fa, grazie al mio papà! Io praticavo il nuoto a buoni livelli, ma quell’andare avanti e indietro per la vasca della piscina iniziava ad annoiarmi. Mio papà allenava la squadra del paese di ciclismo e ho voluto provare… così mi sono innamorata! Ho fatto qualche gara da G6, ma il primo impatto è stato tragico, avevo qualche problema ad agganciare i pedali! Comunque sia ho insistito e poi ho fatto tutta la trafila: esordiente, allieva, junior e infine élite.
Ci parli un po’ della tua carriera giovanile, quand’è che ti sei resa conto che il ciclismo sarebbe potuto essere di più di un semplice passatempo?
Grazie al ciclismo ho avuto la fortuna di avere un adolescenza felice! Lo sport ti tiene lontano da qualsiasi aspetto negativo che si possa incontrare in quegli anni. Sicuramente ho dei bei ricordi in generale, ho conosciuto tantissime persone, con molte delle quali ho un buon rapporto anche adesso! Finito i due anni da junior sono passata élite in una squadra che partecipava a gran parte delle corse internazionali, quindi ho avuto la fortuna di iniziare a correre subito a certi livelli. L’ideale per una junior che passa professionista sarebbe questo, perché è molto importante fare esperienza subito e capire a cosa si va incontro!
Da élite hai disputato 4 anni. Che bilancio fai di questa avventura nel suo complesso?
Direi che è stata una grande avventura! Non ho ottenuto molti risultati personali ma ho contribuito a molte vittorie e queste sono comunque grandi soddisfazioni! Soprattutto ho avuto la fortuna di girare il mondo, di vedere tanti posti, poi ho potuto conoscere altre realtà e altre usanze! Ho avuto molte compagne di squadra straniere: all’inizio è difficile relazionarmi con persone di altre nazionalità, ma quando inizi a conoscerle ed a capirle si imparano tante cose. Io posso dire di essermi sempre divertita molto pur dovendo anche faticare!
Qual è il tuo ricordo più bello della tua esperienza ciclistica, in assoluto e da élite in particolare? Qual è stata secondo te la gara migliore della tua vita?
Ho veramente tanti ricordi ma in verità non ne ho uno in particolare! Mi ricordo la prima corsa da élite quando rimasi affascinata per la tantissima gente a bordo strada, naturalmente la corsa non la finii; per me fu la prima volta sul pavé e rimasi anche abbastanza delusa. È per questo motivo che bisogna fare esperienza il prima possibile. La corsa più bella del mondo è il Giro d’Italia e io ho avuto la fortuna di disputarne due. Molto belle sono anche le prove di Coppa del Mondo: la più bella è il Trofeo Binda a Cittiglio, forse anche perché è sempre stata l’unica Coppa del Mondo in Italia. In 4 anni non ho mai avuto la fortuna di fare un “Fiandre.. credo sia l’unica corsa internazionale che non ho disputato.
Qual è la corsa che più ti è piaciuta in questi anni, per percorso, pubblico, luoghi?
Sono state tutte belle… mi ricordo bene la corsa a Philadelphia! Dura ma affascinante, interamente nella città e l’arrivo era su un muro veramente tanto pendente che dovevamo fare 5 volte; mi ricordo che c’era tantissima gente perché dopo correvano i professionisti uomini. Mi ricorderò sempre anche l’ultima gara della mia carriera ovvero la corsa in corrispondenza a quella degli uomini della Vuelta a Madrid: tra migliaia di persone, quella è stata una delle poche volte in cui in partenza avevo la pelle d’oca.
Da osservatrice privilegiata visto che hai fatto parte del gruppo fino a pochi giorni, quali sono i problemi più importanti che hai riscontrato nel mondo del ciclismo femminile? Ci sono stati miglioramenti durante la tua carriera? Il nuovo World Tour potrebbe offrire una soluzione?
Diciamo che è un mondo difficile, sono poche le persone che sono realmente interessate alle atlete, ai loro bisogni e esigenze. Bisogna avere la fortuna di trovarle! Penso che il World Tour sarà sicuramente un grande salto per il movimento in generale ma per le squadre italiane no; sono solo una o due in grado di poter seguire e permettersi di correre tutte le corse, quindi per il movimento italiano credo che sarà ancora più difficile; anche perché da quello che ho potuto capire non erano ancora ben delineate le regole di questo nuovo metodo ed era ancora tutto molto vago. Il mio è un semplice pensiero, naturalmente poi spero possa avere successo anche qui in Italia!
Tu sei l’ultima di tanti talenti che ancora giovanissime lasciano l’attività. Cosa si potrebbe fare per evitarlo? Secondo te sarebbe opportuno istituire tra la categoria juniores e quella élite un passo intermedio come sono gli under 23 tra gli uomini?
Il fatto che non ci sia una categoria intermedia tra junior ed élite porta sicuramente le ragazze di 17 anni a dover iniziare a fare veramente le cose sul serio! Le ragazze juniores di oggi sono fortunate perché hanno la possibilità di correre qui in Italia con le élite; per esempio quando ero junior io non c’erano queste regole quindi una volta passata è stato un po più pesante per me e per le mie coetanee. È un grande salto ma, detto da me che non ho mai ottenuto grandi risultati, si può fare con il sacrificio e la voglia di fare fatica.
Alla luce della tua esperienza, ci sono dei consigli che ti sentiresti di dare a una giovane ragazza che sogna di intraprendere la carriera ciclistica?
I consigli che mi sento di dare son quelli di mostrarsi sempre sicure e con un bel carattere, perché bisogna prendersi subito i proprio spazi e far vedere che si fa sul serio alle persone per cui si lavora.
In questi anni, partecipando alle più importanti corse del calendario, hai potuto pedalare in gruppo assieme a tutte le più forti cicliste del panorama. Tra di loro, quali ti hanno colpito di più, non necessariamente da un punto di vista ciclistico?
Ci sono tante donne che sono veramente delle grandi professioniste. In primis stimo tutte quelle che riescono a ottenere grandi risultati pur studiando o lavorando. Mi colpi più di tutte Emma Poley che durante il Giro d’Italia del 2014, dopo una delle tappe più dure di quell’anno, si mise a nuotare per una buona oretta nella piscina dell’hotel che ci ospitava. Io ero sfinita e mi domandavo dove trovava le forze fisiche e mentali per nuotare!
Quanto ti ha aiutato nel corso della carriera avere al tuo fianco una persona che condivide con te i sacrifici e gli impegni necessari a portare avanti un’attività ciclistica di alto livello?
Sicuramente avere al proprio fianco una persona che ti capisce e sa cosa stai facendo è molto importante. Io ho un fidanzato che pratica questo sport ad alti livelli ormai: lui è sempre stato la prima persona alla quale chiedevo consigli, che chiamavo quando avevo dubbi o anche solo per avere un sostegno. Per un atleta è importante essere sereno e usare gran parte delle proprie energie nello sport che pratica; prossimamente il mio compito sarà quello di stare al suo fianco con serenità e sostenerlo in quello che fa.
Per il futuro, oltre a seguire le gare, pensi comunque di restare in qualche modo legata al mondo del ciclismo oppure al momento la tua prospettiva è quella di voltare pagina nettamente?
No penso proprio che volterò pagina! Continuerò a seguire le mie amiche e il mio fidanzato Simone ma non rimarrò nel ciclismo in ambito lavorativo.
Grazie mille Alice e in bocca al lupo per tutto quello che ti riserverà il futuro!
Nella foto: Alice Algisi in maglia Astana – Be Pink nel 2014 (foto Matteo Romanelli)